Le contraddizioni ed il servilismo liberale

Servizio pubblico di base

Il “primo comandamento” dell’economia liberale è: libertà, libertà, libertà. In particolare libertà economica. Ciò significa, prendendo la Tatcher, che ci sono solo individui e nessuna società e quindi secondo questo credo ognuno deve essere libero di svilupparsi economicamente su ciò che gli pare, come gli pare, senza che lo Stato, o la collettività, gli imponga le sue scelte.

Ora però c’è un grande problema in questa visione semplicistica della libertà: non tutti siamo posti alla nascita, o dagli avvenimenti della vita, nelle condizioni di fare ciò che vogliamo, come lo vogliamo, quando lo vogliamo. Questo in particolare in campo economico.

L’esempio classico che si può proporre è quello di un giovane che nasce e cresce in un paese di montagna. La libertà vista in modo liberale non garantisce a questa persona che si sviluppi come vuole, quando vuole, nelle condizioni in cui si trova. Perché se il paese è sperduto nelle valli e non ha attrattività turistica, allora non rende nemmeno sotto l’ottica del mercato dei servizi. E quindi tende a venir isolato, la posta non arriva regolarmente, internet veloce non è garantito, i trasporti pubblici spariscono. E un giovane per non diventare un eremita è obbligato a spostarsi.

Ma si può fare anche l’esempio opposto, ovvero quello di un giovane che nasce nel centro di una città da una famiglia povera e che si vede costretto a trasferirsi in periferia perché nel luogo dove è nato e cresciuto appartamenti per lui, visto che sono troppo cari, non ce ne sono.

Ma allora la libertà economica liberale tanto decantata è in realtà una schiavitù. Non sei più tu che decidi se rimanere a vivere nella tua terra natia o andartene, è il mercato che lo decide per te.

Ebbene, questa “libertà” non mi piace. Preferisco che la collettività ci garantisca i servizi di base, perché ognuno possa scegliere se rimanere fra boschi e prati oppure continuare a vivere in città. Perché se non si può scegliere, che libertà è?

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