Un versaccio celodurista

“Peccato che quando c’era la possibilità di detenerla nelle carceri ticinesi, la donna sia stata dichiarata innocente senza molti indugi e, una volta libera, sia tornata di fretta e furia nel paese natio, lasciando la Svizzera con l’eredità di quattro matrimoni e due mariti defunti”: così scrive il mattinonline di Mitra Djordjevic.

Evitando accuratamente di ricordare che a lasciarla libera è stato un giudice leghista (Zali), mentre a condannarla una giudice socialista (Roggero Will) con una procuratrice pure socialista (Alfier) e un avvocato di parte civile socialista (Branda)

Il testo qui sopra è stato pubblicato nell’ultimo Confronti, a firma Firmino. È un testo che mi fa molto male. Vi spiego i miei motivi.

Trovo profondamente sbagliato che un socialista, che della ragione e dell’analisi della realtà sociale fa la sua bandiera, faccia questo tipo di discorsi su una sentenza per assassinio. L’analisi dello svolgimento e dei risultati dei processi penali deve essere rigorosa. Ancor di più quando in gioco ci sono sentimenti forti, come quelli di una comunità colpita da un delitto particolarmente violento.

Abbiamo la fortuna di avere processi pubblici (non sempre è stato così nella nostra Storia) e di avere una stampa che li segue in modo accurato. Per discutere una sentenza bisogna quindi confrontarsi con le motivazioni della corte giudicante, date dopo il dibattimento pubblico. Riuscendo così a capire perché in Appello c’è stato un risultato diverso rispetto al Primo grado.

Firmino non fa niente di tutto ciò: non una parola spesa per i fatti, non una parola spesa sulle motivazioni, non una parola sul perché del cambio (importante) di sentenza. Soprattutto Firmino non accenna nemmeno per sbaglio al fatto che i due processi sono stati celebrati con gli assessori giurati, ovvero con le giurie popolari. 3 giudici con 4 giurati in Primo grado, rimasti tre giorni in camera di consiglio, 3 nuovi giudici con 4 nuovi giurati anche in Appello, con quattro giorni di camera di consiglio.

Il messaggio che fa passare, anche se non voluto, è purtroppo chiaro: per fortuna c’erano i socialisti a condannare la Djordjevic all’ergastolo (a seguire la vox populi). Le giornate trascorse da 14 (!) persone a discutere su pena e colpevolezza dopo gli estenuanti dibattimenti non valgono nulla? È veramente questione di partiti politici o c’è di più (molto di più) in un processo penale di questa portata?

La politica, oltre ad emanare le leggi giudiziarie, gioca un suo ruolo importante nella selezione dei giudici. Ma là si deve fermare. Se invece la politica vuole spingersi oltre e giudicare la giustizia, deve farlo seguendo criteri argomentativi forti. E dire “il giudice X è leghista/socialista” (senza dire che nella corte c’erano sette persone) non è un criterio forte, soprattutto se parliamo di una condanna per assassinio.

Mi si dirà: ma Firmino faceva una tirata contro la Lega, non contro la giustizia. Su questo punto sono rigido: la Lega non ha l’autorevolezza e l’ascolto di cui gode il PS quando parla dell’apparato giudiziario. Se la Lega dice stupidaggini, la controvoce deve mettere in luce queste stupidaggini,  deve sorgere a tutela dell’indipendenza dei nostri giudici e a tutela del nostro Stato di diritto. Gli argomenti ci sono, anche l’ironia e la satira sono a disposizione, basta saperli usare.

Quello che ha fatto Firmino è invece un versaccio celodurista che non trova riscontri nelle aule giudiziarie penali. Una “sparata” in stile domenicale che ha però lo spiacevole effetto di avere come bersaglio reale la credibilità della nostra magistratura, invece della politica leghista.

Tutti quanti vogliamo una giustizia equa ed efficiente. E tutti quanti vogliamo pure che la Lega stia all’interno dei paletti dello Stato di diritto e della democrazia. Non è sussurrando “ah, il giudice socialista è più figo perché ha mandato la Djordjevic all’ergastolo” che otterremo queste due cose.

F.C., pubblicato su Confronti di agosto 2013