Problemi «veri» e dibattito politico

Non di rado si sente parlare nella discussione politica dei cosiddetti problemi del Paese. In particolare chi usa questa terminologia sostiene che bisogna smettere di discutere e passare all’azione e risolvere i problemi «veri». Sono convinto che presentare il dibattito politico in questi termini sia riduttivo e metodologicamente sbagliato. Sono convinto che non ci siano problemi più veri di altri e che le discussioni non siano semplici chiacchiere, ma l’affermazione di un confronto sociale esistente e fruttuoso. Mi spiego. Ogni persona vive in un contesto personale e sociale proprio, mai identico ad un altro. Ognuno di noi vive giornalmente conflitti di versi che si risolvono in gioie o in dolori. Banalizzare il discorso politico affermando che gli altri non vogliono analizzare i veri problemi del Paese significa suggerire sottilmente che esiste solo un tipo di problema e quindi solo un tipo di soluzione. È invece vero che certe preoccupazioni per alcuni sono considerate soluzioni per altri.
Prendiamo un esempio: la fiscalità. C’è chi pensa che avere imposte alte sia un problema a cui bisogna cercare una soluzione; c’è chi ritiene invece che alte imposte siano una soluzione ad esempio all’iniqua distribuzione delle risorse. Il Parlamento, le tavole rotonde ed in generale i partiti politici servono proprio a questo: a discutere sulle convinzioni che ognuno ha su quali siano i problemi e quali siano le soluzioni. È quindi da chiedersi: cui prodest ? A chi giova dire che bisogna risolvere i «problemi del Paese»? Di sicuro giova molto a chi pensa che l’essenza della politica sia fare facili proclami portatori di un’unica verità. Non giova però ad un dibattito democratico disteso, concreto e metodologicamente corretto.

Filippo Contarini, Porza
Corriere del Ticino, 5 ottobre 2010