Memorie di una (seconda) campagna

Tra la campagna per le elezioni al Gran Consiglio e quella appena passata per il Consiglio Nazionale c’è una differenza che definire abissale è un eufemismo. Anche per questo scriverò qui un’analisi sostanzialmente diversa rispetto a quella del 21 aprile scorso (vedi questo link).

Se infatti ritengo ancora perfettamente valide quelle considerazioni sul candidato uomo-e-immagine, mi preme notare come essere 8 candidati in gioco per partito invece che 90 cambi completamente la percezione su come si gioca la politica concreta. Se in aprile mi sono reso conto che per ottenere voti bisogna rappresentare qualcosa, ora ho scoperto che per essere buoni politici bisogna sapere qualcosa e, sopratutto, bisogna sapersi capire.

Questo non è assolutamente scontato. Si fa politica come si respira, dice il saggio. Quindi, come conseguenza, si potrebbe dire che oguno di noi è un buon politico perchè su ogni tema ha qualcosa da dire, un sentimento da esternare, un’immagine della giustizia che va da quella o da questa parte da sostenere. Quando però il lotto dei candidati si restringe così tanto come in queste elezioni nazionali improvvisamente il candidato qualunque (come il sottoscritto) è messo a confronto con due situazioni nuove rispetto a quelle cantonali.

La prima novità è che i media e i loro utenti  cominciano a interessarsi delle  posizioni di tutti i politici. In concreto, per la prima volta qualcuno ha risposto alle mie lettere sui giornali. Ma non solo: sono stato in televisione due giorni consecutivi in due contesti diversi e il giornalista il secondo giorno mi ha chiesto la stessa cosa del giorno prima. Evidentemente, conoscendo la mia posizione, voleva che io la esponessi per dare una linea al dibattito. Ancora più interessante il fatto che il giorno dopo sui social media io sia stato redarguito da alcuni proprio su questa posizione.

Improvvisamente non si ha quindi più la licenza di “dire qualsiasi cosa, tanto si prova”. Anche senza essere un candidato di punta le proprie parole diventano macigni da cui non ci si libera più. La presenza nel discorso sociale viene così  riconosciuta dai membri della società, che decidono di prendere posizione sull’argomento. Chi a favore, chi contro. C’è allora chi usa le parole del politico per avvalorare la sua tesi (è quindi necessaria grande attenzione per scongiurare qualsiasi abuso), oppure c’è chi cerca di scovare le incongruenze, scoperchiando le contraddizioni i luoghi comuni e le affermazioni non documentate di ciò che si è sostenuto.

Avere quest’attenzione del pubblico scatena una domanda pericolosissima nella testa del politico: “ma questa cosa posso dirla?”. Una domanda che si può superare solo con tanto coraggio e una preparazione enorme. Ore e ore passate a studiare temi complessi, ogni tanto troppo complessi, sapendo di non poter arrivare comunque al livello degli esperti, che possono essere presenti al dibattito televisivo o comunque essere telespettatori o lettori. Insomma, il rischio di bloccarsi è grande.

La seconda nuova situazione che si vive quando si passa dall’essere il candidato sconosciuto di 90 a quella del gegario di un gruppo comunque ristretto a 8 persone è la partecipazione ai dibattiti e ai comizi come relatore. Queste situazioni non vanno confuse con l’apparire in televisione o sulla stampa, qua si hanno davanti a sè i volti di decine se non centinaia di persone che ascoltano e osservano, la reazione è immediata. Non solo, in queste situazioni quando l’intervento è finito si entra in contatto diretto col pubblico (per un aperitivo, una cena o anche solo sulla porta dove alcuni fumano una sigaretta). Quindi non solo la reazione di chi ascolta si percepisce immediatamente mentre si parla, ma pure la critica o l’apprezzamento fanno parte dello stesso momento, a caldo.

La profonda preparazione tematica che, come ho detto, è indispensabile per non bloccarsi nell’esposizione della propria idea politica, non basta più. Entra prepotentemente in gioco un lato emozionale che va controllato (per quanto possibile) e per farlo è necessario tanto, tanto allenamento. È il corpo a dare i ritmi: i battiti cardiaci che si alzano prima e dopo, il bisogno di bere, il sudore, il balbettio. Il contatto visivo con alcune persone aiuta, ma appena si nota che qualcuno si annoia o biasima ciò che si dice si comincia ad essere pervasi dai dubbi. Si provano sensazioni forti, soli nel proprio brodo politico, bisogna allora cominciare a costruirsi delle certezze relazionali (o almeno provarci…). Bisogna sopratutto scegliere a che distanza si vuole avere lo spettatore-elettore. Quanto si vuole vivere la persona che si ha davanti in mero senso funzionale (“costui vota”) o anche umano (“costui mi fa crescere”). Ci sono pro e contra in entrambi i casi, è certo che  quando i numeri diventano grandi più si lascia aperta la porta all’umanità, e quindi alla crescita personale, più si deve lasciare spazio alla critica diretta. Che come ogni critica può fare molto male, soprattutto se arriva da tante voci.

Alla fine di tutto ciò rimane la sensazione di aver partecipato a un’esperienza forse unica nella vita. La fortuna di aver vissuto situazioni di tensione, con aspettative enormi, provare l’illusione di essere eletti nella piena consapevolezza di non avere chances, insomma la fortuna di mettersi alla prova e vedere come si reagisce!

Per questo mi sento qui nelle condizioni di ringraziare tante persone. Non potendole nominare tutte, vorrei comunque citare Franco, Manuela e Alberto che mi hanno fatto entrare in politica alcuni anni fa; la commissione cerca, che mi ha voluto dare questa possibilità con, a cascata, tutta la direzione, il comitato e il congresso; tutti coloro che hanno voluto ospitarmi, sostenermi, guardarmi, leggermi, farmi sentire uno di quelli veri; e non da ultimo Laura e i suoi cari,  i miei mami e papi Guja e Michele, la sorellina Cami, la mia famiglia tutta fra Roma e Milano, i miei cari amici sparsi fra Losanna, Ginevra, Zurigo, Lucerna, il Ticino e Roma, il papà di uno di loro in particolare,  i miei colleghi e il mio Prof., che hanno dovuto subire le mie ansie per lunghi mesi.  Mi avete aiutato a crescere, tanto, e ve ne sono grato.

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Vorrei anche ringraziare la cittadinanza di Cavigliano, terza dopo Porza nella percentuale di voti datimi in questa tornata elettorale. E i due socialisti di Gresso, che andrò a visitare, che mi hanno onorato di una bellissima doppiatura assieme a Marina Carobbio.

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P.s. una piccola nota critica sull’esito elettorale. Ritengo che il movimento “I verdi del Ticino” non debba essere mai trattato da fratello povero dai socialisti. Se questo è stato fatto, era sempre stato sbagliato. La collimanza delle posizioni politiche tra socialisti e verdi non cambia il fatto che la loro filosofia di base (Jonas) non è la nostra, così come non lo è la simbologia.

Detto questo, che il PS avrebbe perso un seggio era, purtroppo, quasi certo. Non siamo riusciti a fare il miracolo, anche se di poco. Questa situazione però non era nota solo a noi, era nota a tutta la scena politica ticinese, al partito dei Verdi anche.

Guardando le posizioni Smartvote e le risposte dei candidati di tutti i partiti si può con facilità vedere che gli unici partiti che sostengono idee sociali e ambientali sono il PS, il PC, Montagna Viva e i Verdi. Solo a titolo di esempio, il candidato a me più vicino sulla tabella è… Greta Gysin! I Verdi hanno però deciso di correre da soli, affemando la loro volontà di crescere. Hanno insomma messo l’autoreferenzialità partitica davanti ai contenuti.

A questo si sommano, pur di marcar presenza, posizioni altamente contraddittorie: 1) la loro reiterata apparizione sui giornali della Lega dei Ticinesi, dove, ahimé, più volte si sono potute leggere affermazioni razziste; 2) l’organizzazione di una manifestazione contro gli aumenti del premio della cassa malati assieme a vari politici che sono contrari alla cassa malati pubblica e unica, progetto che loro però in teoria sostengono.

Insomma, forse è vero, noi socialisti abbiamo perso tanto e per questo siamo un po’ sfigati. Però abbiamo cercato di leggere la situazione, consci che di 8 deputati al nazionale al massimo due sarebbero stati per la socialità e l’ambiente (e alla fine ne è stata eletta una sola, Marina). Abbiamo anche messo in conto la possibilità di perdere un seggio a favore dei verdi. Abbiamo cercato di fare gli interessi collettivi.

Ho cercato di mettermi nei panni dei Verdi, lo giuro. Anche staccandomi dai miei preconcetti socialisti. Ma non sono riuscito a vedere altro che partitocrazia verde, niente per il bene comune. Non li ho capiti. Mi spiace.