Mascherarsi per motivi politici in piazza: si può?

Esiste un diritto costituzionale a non coprirsi il volto? È sproporzionato vietare al singolo o al piccolo gruppo di esporre la propria opinione politica con il volto coperto?

Sappiamo che ci sono varie situazioni in cui l’anonimità è garantita per difendere la persona da possibili ritorsioni politiche o sociali. Una ad esempio è quella giornalistica: l’editore non è obbligato a rivelare chi sia l’autore di un determinato articolo. Succede anche in televisione quando ad una persona viene oscurato il volto. La questione è capire se questa anonimità (che è assolutamente necessaria in democrazia, come ho già spiegato in questo articolo) può essere concessa anche sulle piazze e se sia garantita dalla costituzione.

Le leggi cantonali sulla copertura del volto

Negli anni ’80 la Svizzera ha vissuto dei momenti abbastanza violenti con i moti studenteschi. Il conflitto sociale aveva dato spazio a delle pretese che venivano espresse anche con del vandalismo durante le manifestazioni. Per questo i cantoni, cui spetta costituzionalmente il controllo dell’ordine pubblico, hanno emanato delle norme sul divieto di copertura del volto per le grandi dimostrazioni politiche. La polizia riteneva che, nonostante il divieto di copertura del volto talvolta peggiorava il clima generale della manifestazione, c’era l’interesse ad avere tutti a volto scoperto perché così le frange violente non si potevano scatenare nell’anonimato in mezzo alla folla. Era inoltre utile alla polizia poter controllare queste persone. Questi divieti di dissimulazione per grandi manifestazioni sono stati avvallati dal Tribunale Federale già nel 1991.

Oggi se ne parla di nuovo nell’ambito della strategia di contenimento degli hooligans. Se ne è parlato anche in occasione della grande manifestazione “Tanz dich frei” a Berna, che è degenerata (sebbene là il problema a monte fosse ancora più controverso: le persone veramente anonime erano i responsabili dell’evento, organizzato sul Web).

La mia tesi

Io ritengo che quei divieti per quelle grandi manifestazioni non hanno niente a che vedere con la legge ticinese sulla dissimulazione del volto. A differenza di altre voci ritengo quindi che il Tribunale Federale non si sia ancora espresso su questo tema e penso quindi che non ci sia giurisprudenza federale applicabile per la legge ticinese.

La sentenza DTF 117 Ia 472

Nel 1989 il governo di Basilea Città decise di emanare un’ordinanza con questa norma: “Chi si rende irriconoscibile in assemblee, dimostrazioni e simili riunioni necessitanti di autorizzazione sarà punito”. Quali dimostrazioni su suolo pubblico necessitassero di un’autorizzazione lo diceva un’altra ordinanza: solo quelle con più di 60 persone o più lunghe di 30 metri. Il governo di Basilea Città sostenne che manifestazioni più piccole non necessitavano di un’autorizzazione perché non erano intrinsecamente pericolose. Lo ribadì il Tribunale Federale: quella legge valeva solo (e sottolineo il solo, a p. 480 della sentenza) per le grandi manifestazioni come indicato nell’ordinanza. Sulle piccole manifestazioni il TF non si espresse, e nemmeno doveva farlo perché non erano in questione in quella causa.

L’essenza delle piccole manifestazioni e il divieto di coprirsi il volto

La stessa Corte CEDU lo dice, nella sua sentenza sulla dissimulazione del volto: sarebbe sproporzionato un divieto assoluto di copertura del volto per motivi di sicurezza, a meno che non ci sia un contesto oggettivo di pericolo (n. 139). Bisogna d’altronde considerare anche il diritto penale vigente: se si commette una rapina a volto coperto, il reato di rapina renderebbe inutile quello di copertura del volto, siccome molto più grave. E in fondo pensiamoci: chi vuole compiere un crimine non si fa certo intimorire da una leggina che dice: “non coprirti la faccia!”. Il passamontagna sarà indossato lo stesso.

Queste sono peraltro le stesse posizioni del Consiglio Federale che, con la copertura del volto, non vede messo a rischio un bene giuridico protetto dall’ordinamento penale (presa di posizione del 28 agosto 2013, su una mozione UDC).

La legge ticinese decide che è reato in sé e per sé il semplice coprirsi il volto e stare in piazza con su una maschera. Non lega questa cosa né a pericoli, né a contesti. Lo vieta e basta, per garantire la democrazia (interpretando la democrazia come un diritto degli altri cittadini di vedere il volto di tutti quelli che stanno sulla pubblica via). Insomma bisogna farsi vedere, punto. È una richiesta molto particolare, che palesa una certa malfidenza di fondo nell’altro. Questo oltretutto succede nella società della comunicazione 2.0, dove tutto ciò che accade sulla pubblica via viene fotografato o ripreso e quindi immesso in rete. Quindi non solo è obbligatorio farsi vedere quando si sta in piazza, ma bisogna pure accettare che quel farsi vedere sarà condiviso col mondo intero.

Legando tutto questo ai diritti politici significa che non è più lecito in Ticino andare in giro in tre persone, di cui uno o due hanno il volto coperto, e manifestare su questioni politiche. Creando disagi enormi a chi verrebbe stigmatizzato, represso o perseguitato. Un esempio piccolo e banale: che fare se uno grazie ai nuovi media viene schedato dagli americani quando partecipa a una manifestazione contro il TTIP e tutto finisce on-line? Anonymous è veramente inutile?

Mi si dirà: comunque per fare una piccola manifestazione devi chiedere un’autorizzazione perché usi un bene pubblico, quindi comunque l’anonimato non sarebbe garantito. Falso. Il Tribunale Federale, nella sua DTF 135 I 302, ha già affermato che un’attività politica di tre persone sulla pubblica via non comporta un utilizzo accresciuto del suolo pubblico. E quindi non necessita di autorizzazione.

Mi sto contraddicendo?

Sono consapevole che è molto pericoloso usare la stessa sentenza della Corte CEDU e le parole del Consiglio Federale usandole come appiglio da un lato, ma dall’altro distruggendole nella loro validità su questa legge, identica a quella francese. Ma in realtà non mi sto contraddicendo.

Il motivo è semplice: sia la Corte CEDU, sia le autorità federali quando hanno analizzato la questione lo hanno fatto pensando solo al niqab e al burka, ovvero al conflitto fra democrazia e religione. Ma si sono completamente dimenticati che prima ancora esistono i diritti di libera manifestazione politica e che per l’espressione di quei diritti coprirsi il volto può essere drammaticamente necessario. La sentenza della Corte CEDU quindi può anche avere un senso, ma non riflettendo anche su quello che dico io non vedo come potrebbe essere un vincolo per la mia pretesa giuridica.

Questa spiacevole dimenticanza è probabilmente causata dal particolare periodo storico che stiamo vivendo. La confusione regna massima e soprattutto la consapevolezza della nostra cultura è debolissima. Invece di dirci che determinate manifestazioni culturali semplicemente non le accettiamo e integrare così chi ancora vive strutture sociali medievali, ci spaventiamo e facciamo leggi simboliche. Mettendo a rischio però i diritti civili e progressivi per cui abbiamo lottato per due secoli.

Invece di vietare novità sociali per legge, pensando che la legge sia un demiurgo che risolve tutto, dovremmo avere semplicemente più consapevolezza di noi stessi e affermare, giorno per giorno, che la nostra cultura di apertura, parità e solidarietà è quello che veramente vogliamo vivere.

Filippo Contarini