L’iniziativa dell’UDC in Ticino passerà, nel resto della Svizzera no. Che fare?

Il prossimo 9 febbraio voteremo l’iniziativa UDC “Contro l’immigrazione di massa”. Chiede, tra l’altro, di reinserire i contingenti sugli stranieri che lavorano in Svizzera. Questo toccherebbe anche i frontalieri. Se l’iniziativa passa, la libera circolazione dei lavoratori cade. Cisco 642-414
Questo significa che un’azienda non può assumere stranieri se la quota massima totale è già stata raggiunta e che per assumere uno straniero l’azienda deve provare che non c’è uno svizzero cui dare la precedenza.

La potenza comunicativa di questa nuova regola in un cantone come il nostro è potente. Da anni lo slogan in Ticino è chiaro: “gli italiani rubano il posto di lavoro ai ticinesi e comunque, anche se non lo rubano, fanno abbassare i salari”. Da questa frase (che è vera solo in parte) alla richiesta di protezionismo il passo è brevissimo. “I noss prima degli altri!” sembra dire una grande fetta di popolazione a gran voce. Costi quel che costi, anche affossando tutti bilaterali e quindi l’economia nazionale tutta. C’è infatti chi crede che eliminando la libera circolazione l’economia ticinese produrrà nuovi posti di lavoro ben retribuiti per i ticinesi. Da dove prendono questa certezza? Nessuno lo sa.

Io non sono d’accordo a questo modo di riflettere e a questo automatismo. I problemi causati dal frontalierato ci sono e nessuno li nega. Ma lo ho già detto fino alla noia: non bisogna mettere i lavoratori gli uni contro gli altri e non bisogna condannare le nostre esportazioni. I bilaterali sono importanti per la nostra economia. Lo sappiamo: i datori di lavoro tirano i salari al ribasso e se ne fregano del nostro territorio, di fronte a questi problemi bisogna aumentare le misure di accompagnamento e bisogna permettere ai sindacati di giocare un ruolo forte, in particolare imponendo salari minimi attraverso contratti collettivi di lavoro. Bisogna insomma aumentare la lotta nel lavoro (in particolare nel terziario!), non chiudere le frontiere.

Vorrei però qui riflettere su un tema che va un attimo più in là, ovvero cosa sarà necessario fare politicamente dopo la votazione del 9 febbraio. Sappiamo infatti tutti perfettamente che la Svizzera interna non vive i problemi delle regioni di frontiera. Il benessere economico garantito dagli accordi bilaterali non sarà messo in discussione dalla popolazione.

E il Ticino che farà, quando si troverà in disaccordo con tutti gli altri?

Il nostro cantone è parificato agli altri dal 1803. Prima era un insieme di terre dominate dai balivi svizzeri tedeschi. I nostri avi hanno vissuto l’entrata nella Confederazione come una liberazione, un progresso mai messo in discussione. E solo una volta qualcuno ha voluto andarsene dalla Svizzera. Erano gli irredentisti della destra fascista ticinese (i “leghisti” di allora), del gruppo L’Adula, che volevano far annettere il Ticino all’Italia per fare il grande impero fascista.

Il Ticino, un cantone endemicamente povero, di grande emigrazione, che solo i trafori alpini e l’attrazione di denaro dal sud hanno fatto emancipare economicamente. Un cantone che se isolato muore. Oggi c’è Alptransit, un pioggia di miliardi è arrivata dal nord sul nostro cantone per aprire ancor più il passaggio tra le alpi e avvicinarci al resto della Svizzera. Zurigo sarà vicinissima, si pensi solo al valore dei terreni che si alzerà grazie a questa nuova via. Studiare “in dentro” sarà ancora più facile, anche alle ottime SUP dell’altipiano. Insomma, sopra di noi una Svizzera che sembra essere una vera garanzia per il mantenimento del nostro benessere, soprattutto nell’incertezza data dalla globalizzazione.

Una Svizzera che però il Ticino a rigor di logica dovrebbe odiare, se veramente i ticinesi plebisciteranno l’iniziativa UDC, mentre lassù la bocceranno sonoramente. Ma allora che fare?

La risposta può essere solo una: dobbiamo limitare il successo dell’iniziativa UDC da noi e ricominciare a sviluppare l’arte della diplomazia. Dobbiamo far passare il nostro messaggio nei canali istituzionali e informali, smettere di sembrare i fratelli ridicoli, oltre che poveri, dell’intero Paese. Concretamente: lavorare su tutti quei punti che possano redistribuire il benessere dell’altipiano anche da noi, compensando i problemi evidenti che ci dà il frontalierato.

Ancora più in concreto: oltre a chiedere i diritti sindacali per i nostri lavoratori, dobbiamo chiedere una revisione delle basi di calcolo della perequazione finanziaria. Dobbiamo chiedere una revisione delle leggi ambientali per intervenire sul sovraffollamento delle strade. Dobbiamo chiedere più presenza dei ticinesi ai piani alti dell’amministrazione federale. E non solo: dobbiamo incentivare una cultura della vicinanza svizzera (non sono balivi, sono concittadini) e nel contempo essere forti a sostenere le nostre ragioni. Gli Svizzeri tedeschi ci ascoltano, ma spesso ci considerano poco seri. Che errore! Ma è responsabilità nostra far cambiare loro questa opinione.

Queste strade sono meno facili da percorrere rispetto alle urla domenicali, rispetto alle sparate dei muri a Chiasso. È chiaro, in un cantone storicamente litigioso come il nostro (pieno di prime donne arroccate al potere che non accettano critiche, va pur detto) far passare messaggi unitari non è facile. Ma attenzione: tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 siamo stati varie volte lo zimbello della Svizzera. Quante volte sono intervenuti addirittura con l’esercito perché ci consideravano i “Sorgekind” federali, quante volte abbiamo dovuto andare in su con il cappello fra le mani.640-461
Ora il rischio è di nuovo quello. Urla, sbraiti, populismo, una valanga di “sì” all’iniziativa UDC e poco che rimane in tasca. Vogliamo questo?

No, non è questa buona politica, non è questa la giusta prospettiva per il Paese.

F.C. 8.1.2014

© Riproduzione, anche di singole parti, riservata