I liberali e il complesso della mucca

“Ingerenza dello Stato nei salari?” è la grande domanda che si pongono i liberali guardando con un filo di angoscia l’iniziativa “1:12 per salari equi” lanciata dalla Sinistra. Andremo a votare il prossimo 24 novembre, 5 anni dopo la penosa richiesta di aiuto allo Stato da parte di UBS. È chiaro: lo Stato fa comodo solo quando deve pagare, quando lorsignori si trovano coi piedi per aria.

“Lo Stato non deve immischiarsi nell’economia”. È così che questo partito ragiona sin dall’Ottocento. Slogan vecchi per una politica vecchia. Il problema è che ci sono poche persone che si fan gli affari propri, si aumentano i loro stipendi e contemporaneamente tagliano, esternalizzano, licenziano, limitano la libertà sindacale. Poi quando le cose van male chiamano lo Stato tutti preoccupati. Viva il libero mercato!

Continuare a ragionare nei termini liberali è sbagliato. La loro strategia ha portato evidentemente a un fallimento, a causa delle scorribande di questi grandi capitani di impresa lo Stato ha dovuto inondare di soldi i mercati finanziari e i cittadini ora devono pagare lo scotto dell’incertezza sociale (dumping salariale, affitti in ripidissima ascesa, riduzione delle prestazioni sociali, …).

Ci sono varie iniziative in cantiere per mettere finalmente un freno alle assurdità liberali. L’obiettivo generale è chiaro: lo Stato, la collettività, è stato messo da parte per troppo tempo. Lo Stato deve essere un partner che aiuti a dare ordine e armonia nelle questioni sociali, fra cui anche l’economia. Non si tratta invece di avere uno Stato-mamma, o meglio uno Stato-mucca, come hanno voluto i liberali con il caso UBS.

Andiamo sul concreto e osserviamo bene cosa chiede l’iniziativa “1:12 per salari equi”. La norma costituzionale è semplice, l’obiettivo è che il salario massimo che la ditta paga ai suoi manager non deve essere superiore di 12 volte rispetto quello minimo. Chiaramente si parla di salario orario, quindi ad esempio se una ditta paga 20 franchi all’ora all’impiegato, al top-manager potrà dare al massimo 240 franchi all’ora. Che in momenti lavorativi intensi diventano rapidamente 3’000 franchi al giorno. Non bastano?

Facciamo attenzione. Non si tratta di fare i conti in tasca alla gente. Non si tratta di facile moralismo. L’iniziativa “1:12 per salari equi” è piuttosto un tassello di una questione molto più ampia e molto più complessa. Dobbiamo riprendere le redini di questo cavallo imbizzarrito (l’economia liberale di oggi), allora tematizziamo anche i salari minimi, la fiscalità dei supermilionari, la questione delle eredità, la tassazione dei dividendi, il rispetto dei diritti umani da parte delle imprese, il controllo degli abusi sul posto di lavoro, la parità salariale, la libertà sindacale. Insomma, tutto il necessario per un’economia che garantisca il benessere della collettività e non gli sfizi di pochi.

Facciamo questo primo passo e accogliamo l’iniziativa “1:12 per salari equi”. Il secondo passo sarà vegliare sul nostro parlamento e aiutarlo. Bisognerà rinforzare e rivedere l’AVS, la fiscalità, il codice delle obbligazioni, le leggi sul lavoro. E i liberali si inventeranno mille scappatoie. Siatene sicuri: faranno di tutto per continuare a garantire i milioni ai top-manager.

La situazione che abbiamo davanti è difficile. Per usare una metafora, assomiglia un po’ alla casa devastata dal figlio adolescente lasciato solo durante il fine settimana. Il monello ha fatto festa con gli amichetti di mezzo quartiere, immaginate la faccia dei genitori al loro ritorno. Ecco, cosa fare ora lo sappiamo bene: il figlioletto (i liberali) in castigo, noi scopa in mano e tanto, tanto olio di gomito.

F. C.

Pubblicato sul Corriere del Ticino il 24.10.2013

Novità

Martedì 29 ottobre un simpatico Consigliere Nazionale democristiano, Marco Romano, ha scritto sul CdT un’Opinione che, sebbene non dedicata a me, può essere letta come risposta indiretta alle mie opinioni sopra. La pubblico qui sotto per interesse dialogico.

Ma il modello svizzero non va rivoluzionato
A partire dal 2017 in Svizzera potrebbero valere le seguenti condi­zioni quadro: una scala fissa (1:12) che stravolge e ce­menta gli stipendi (tutti, anche e so­prattutto quelli mediani!), un sa­lario minimo obbligatorio di circa 4000 franchi, un reddito base incondi­zionato di 2’500 franchi per l’intera popolazione (anche per chi non lavo­ra, un controsenso nei termini reddito­lavoro!) e infine un prelievo confiscato­rio di un quinto del capitale al mo­mento della successione.
Lo scenario non è fantasioso ed esage­rato: rappresenta la situazione se do­vessero venire accettate le iniziative popolari che saranno sottoposte al vo­to nei prossimi due anni. Le proposte giungono dal fronte socialista con i giovani socialisti svizzeri che tirano abilmente le redini. L’intero costrutto è ben articolato e strutturato ideologica­mente.
La Svizzera necessita di condizioni quadro tanto rigide e limitative? È ne­cessaria un’intromissione tanto regola­toria nel mondo del lavoro? L’attuale sistema non funziona? Abbiamo un’e­conomia squilibrata che non produce ricchezza? Il nostro sistema sociale non sostiene chi è in difficoltà? Personal­mente rispondo negativamente a tutti questi quesiti. Vi sono problemi e di­
storsioni, ma le proposte sul tavolo non li risolvono ma anzi mettono in crisi l’intero sistema. Sono molto preoccu­pato per le eventuali conseguenze dell’accettazione anche solo di una del­le citate iniziative popolari. I Paesi che hanno introdotto leggi e condizioni quadro simili sono in recessione, han­no elevati tassi di disoccupazione e uno Stato sociale in crisi.
La Svizzera è un modello vincente, in ambito sia sociale sia economico. An­cora nelle scorse settimane in una com­parazione internazionale il nostro Pa­ese è risultato chiaramente primo in termini di competitività e innovazione. Il mondo del lavoro è regolato in ma­niera snella, tanto che nella storia il confronto tra le parti sociali ha portato a soluzioni condivise, con rari momen­ti di rottura. Lo scenario prospettato rappresenta un cambiamento di para­digma con un pericoloso mutamento radicale del sistema.
Nessuna azienda, nemmeno la più pic­cola, può affermare di essere estranea al dibattito su di un’eventuale intro­missione dello Stato nella fissazione degli stipendi. L’iniziativa 1:12 ha con­seguenze su tutte le imprese attive in Svizzera. L’iniziativa tocca tutti i lavo­ratori in maniera diretta ed indiretta; anche chi è purtroppo al beneficio di prestazioni sociali.
L’affermazione del modello svizzero si fonda su un insieme coerente di impre­se di differenti grandezze che si garan­tiscono lavoro l’una con l’altra. Le aziende accusate di «eccessi salariali»
– spesso grandi multinazionali con cui lavorano tuttavia molte piccole e me­die imprese – sono solo una minima parte. Poche aziende che comunque garantiscono un rilevante contributo generale in termini di posti di lavoro, contributi sociali e imposte per lo Stato (Confederazione, Cantoni, Comuni).
L’odierno sistema permette l’esistenza di salari eccessivamente bassi (da com­battere!) e altri manifestamente troppo alti e ingiustificati (da stigmatizzare!), ma un inquadramento matematico, rigido e aleatorio non si giustifica asso­lutamente. Le situazioni definite pub­blicamente «ingiuste» sono una mino­ranza comunque molto mediatizzata e capace di smuovere emozioni, sconcer­tando non solo l’opinione pubblica ma anche la maggioranza degli imprendi­tori. Restando razionali e mettendo da parte i sentimenti, occorre sostenere le attuali condizioni quadro correggendo in maniera pragmatica e non ideologi­ca le distorsioni. Gli eccessi vanno stig­matizzati, ma fissare la proporzione 1:12 significa perdere grandi realtà in­dustriali e di conseguenza mettere in crisi l’intero sistema.
Esistono problemi che vanno affrontati e risolti, ma alla luce della reale situa­zione dell’economia svizzera l’allarmi­smo non è un approccio utile e costrut­tivo. Il modello svizzero va ulterior­mente sviluppato alla ricerca di equili­brio e rispetto, fondamenti per inno­varsi e restare competitivi. Una rivolu­zione non è assolutamente necessaria.