“Giudici stranieri”? Una minestra riscaldata (e già affossata dal popolo)

Si sta cominciando seriamente a parlare dell’iniziativa dell’UDC cosiddetta “sui giudici stranieri”, che voteremo il 25 novembre 2018. Io vorrei qui proporre una nota tecnica.
In realtà questa iniziativa la abbiamo già votata lo scorso 17 giugno 2012, ma sotto un altro nome. Era l’iniziativa dell’organizzazione ultra-nazionalista ASNI chiamata “Rafforzamento dei diritti popolari in politica estera”. Il popolo già allora prese una direzione sicura e convinta: frantumò l’iniziativa con il 75,3% di NO.
Quell’iniziativa del 2012 voleva imporre il referendum obbligatorio per i trattati internazionali. Il Consiglio federale spiegava così perché opporsi: “Il Popolo svizzero dispone in materia di politica estera di diritti di partecipazione unici al mondo. I trattati […] che incidono direttamente sui diritti e doveri della popolazione del nostro Paese sono sottoposti al voto del Popolo se 50’000 aventi diritto di voto o otto Cantoni ne fanno richiesta [referendum facoltativo, NdR]. La Costituzione federale riconosce dunque già oggi i diritti di partecipazione del Popolo per la conclusione di tutti i trattati importanti”.
L’iniziativa che voteremo il prossimo 25 novembre 2018 “sui giudici stranieri” alla fin della fiera è la stessa minestra già schiantata nel 2012. In mezzo ai tanti cavilli l’UDC ha infatti nascosto l’unico articolo che ha veri effetti giuridici: il modificato art. 190. Leggiamo assieme la versione proposta: “Le leggi federali e i trattati internazionali il cui decreto d’approvazione sia stato assoggettato a referendum sono determinanti per il Tribunale federale e per le altre autorità incaricate dell’applicazione del diritto”. La novità (o meglio: la minestra riscaldata) sta nella qualifica che viene data ai trattati internazionali. Se un trattato internazionale non sarà passato attraverso il referendum, allora improvvisamente e senza giustificazione sarà considerato di una branca giuridica inferiore.
È una nuova gerarchia estranea alla logica del diritto svizzero, e c’è un perché: in Svizzera vogliamo che in ogni singolo caso si gestiscano gli eventuali conflitti fra le regole nazionali e quelle internazionali. Essi possono sempre verificarsi, siccome il diritto rimane un prodotto storico e complesso.
Ora l’UDC (portavoce dell’ASNI) vuole creare due tipi di trattati internazionali: da un lato quelli che hanno preso sì a un referendum, dall’altro i trattati che non sono passati dalle urne, che diventano di serie B. Ne risulta che l’unico modo per essere sicuri che un trattato abbia valore giuridico è andarlo a votare. È come inserire un referendum obbligatorio. Ma questa roba la abbiamo già schiantata con il 75% di NO sei anni fa.
Io non sto dicendo che nelle relazioni internazionali è tutto rose e fiori. Già la virata a destra che ha fatto Cassis nel CF non mi piace. Detto questo, il sistema costituzionale attuale sui trattati internazionali ci dà ampi diritti. Ad esempio, se qualcuno non è d’accordo con la ratifica di un trattato internazionale, allora può lanciare il referendum e ci scontriamo alle urne. Proprio come succede per le leggi.
L’UDC invece, partito di inutili miliardari che si pagano le votazioni e ci inondano di campagne pubblicitarie ignobili, improvvisamente vogliono imporre che gli accordi politici sui trattati internazionali siano sempre ratificati in votazione popolare. Questa procedura, che peraltro non conosciamo nemmeno per le leggi, ha un prezzo molto alto: da un lato mette a rischio le nostre relazioni internazionali, che sono gestite in modo decisamente più complesso che non gli affari di Niederbipp an der Aare. Dall’altro mette in discussione la politica parlamentare come luogo di confronto e di compromesso delle istanze sociali.
Proprio in un momento di rivoluzioni tecnologiche globali, proprio quando abbiamo bisogno di stabilità e fiducia internazionale, l’UDC riprova a mettere il referendum obbligatorio su ogni trattato, nonostante gli abbiamo già detto di NO con il 75% dei voti. Evidentemente quelli dell’UDC sono un po’ sordi, dobbiamo quindi ripeterglielo di nuovo schiantando pure questa iniziativa.

Filippo Contarini, assistente universitario in teoria del diritto, membro del Comitato di Berna

pubblicato su www.ticinotoday.ch il 27 agosto 2018