Eredità plurimilionarie e imposta di successione

Ho letto con in­teresse l’opinione di Paolo Pamini (vedi CdT dell’11 luglio) sulla tassa­zione delle eredità plurimilionarie. Vorrei qui dar se­guito alla discus­sione, che secondo me non è di carat­tere tecnico, ma squisitamente etico. Da una parte chi considera le imposte sempre e comunque ingiuste, dall’altra – io per esempio – chi è meno drastico e considera il prelievo fiscale anche una risorsa per la comunità, per noi tutti.

L’argomento del contendere è un’ini­ziativa del PS federale che propone di inserire un prelievo fiscale del 20% sul­le eredità che ammontano a più di 2 milioni di franchi, quindi lasciando agli eredi almeno 1.600.000 franchi do­po la tassazione. Bisogna fare atten­zione, in concreto stiamo parlando di cifre colossali: per risparmiare 2 milio­ni di franchi è necessario mettere da parte – dopo aver pagato le spese nor­mali della vita, l’ipoteca o l’affitto, la cassa malati, le imposte, gli studi dei figli, le cure dentistiche, le spese per viaggiare, eccetera – 3.700 franchi al mese costantemente per 45 anni di la­voro. Senza spenderli durante l’anzia­nità, ad esempio per lenire i dolori di una malattia. Possiamo quindi con as­soluta tranquillità affermare che se questa imposta tocca i risparmi del 10% (più ricco, chiaramente) della po­polazione siamo ottimisti. Il restante 90% di noi tutti non sarà mai toccato da quest’imposizione, a meno che gra­zie a un bel colpo di fortuna non ab­bia ereditato lauti patrimoni o abbia vinto al lotto.

Partendo da questa costatazione po­trei impostare la mia risposta a Pami­ni notando che i soldi dell’imposta di successione prelevati soltanto al 10% della popolazione più ricca sono uti­lissimi a tutti i cittadini perché saran­no vincolati e andranno a sostenere le nostre pensioni (la popolazione invec­chia e l’AVS, che già ora dà contributi molto bassi, ha urgente bisogno di li­quidità).

Potrei altresì dire che in fondo il patri­monio del caro estinto a lui non serve più e che quegli stessi beni (attenzio­ne, parliamo di eredità milionarie, quindi ville, quadri, azioni, automo­bili, gioielli) diventano degli eredi sen­za che questi ultimi se li siano guada­gnati, ma semplicemente perché esiste una legge che riconosce loro l’eredità in quanto figli o coniugi.

Eviterò di far­lo e mi concentrerò invece sul proble­ma più puro, quello della giustizia di una tassazione delle successioni pluri­milionarie.

Ci sono modi diversi di definire la giu­stizia, che come si sa è un sentimento relativo. Pamini ne cita un paio, io ne propongo un altro che recita così: il prelievo fiscale è sempre giusto se rie­quilibra una situazione di partenza palesemente, grottescamente squilibra­ta. Ovvero è giusto pretendere che chi nasce e cresce in una famiglia di con­dizioni economiche modeste non sia svantaggiato di principio nel suo svi­luppo sociale ed economico rispetto a chi nasce e cresce in una famiglia di plurimilionari.
Pamini ci suggerisce che tassare que­ste enormi eredità è inumano (sì, dice proprio così) perché il caro estinto non può in questo modo dedicare con amo­revole affetto ai propri eredi tutto quel­lo che ha risparmiato in vita. Insom­ma i poveri eredi non potranno goder­si tutti i 2 milioni di franchi, ma solo un milione e seicentomila e questo se­condo lui è insopportabile.

La domanda che inevitabilmente ci po­niamo diventa quindi drammatica: perché dovremmo contribuire a garan­tire a chi gode di una situazione di evi­dente vantaggio economico privilegi ancora maggiori? Perché persone che sono cresciute in un ambiente già ric­chissimo dovrebbero vedersi ancora più arricchiti? Ma soprattutto perché, alla luce delle crisi finanziarie globali che hanno colpito le fasce più deboli della popolazione in modo estremamente violento, lo Stato dovrebbe garantire che chi già è in condizioni agiate lo di­venti enormemente di più?

Ecco, qua sta il sentimento di giusti­zia, qua sta il riequilibrio, qua sta il compito dell’imposizione fiscale. Non stiamo parlando dell’eredità della non­na che ha messo cinquantamila fran­chi risparmiati dalla sua pensione su un conto per garantire gli studi al ni­pote, stiamo parlando di patrimoni da due milioni di franchi e anche più.

Filippo Contarini, giusrita. porza

Corriere del Ticino, 17.07.2011