Cosa abbiamo vinto esattamente: spiegazione del nostro ricorso

Articolo apparso sul sito del Movimento per il socialismo il 19 ottovre 2018

Il Tribunale federale bacchetta il Gran Consiglio

La genesi delle due leggi

Il 15 marzo 2011, ispirata da una legge francese, è stata lanciata in Ticino un’iniziativa popolare costituzionale per dotare il Ticino di un “Divieto di dissimulazione del volto”. Questo il tenore:

Art. 9a: Divieto di dissimulazione del proprio viso

1. Nessuno può dissimulare o nascondere il proprio viso nelle vie pubbliche e nei luoghi aperti al pubblico (ad eccezione dei luoghi di culto) o destinati ad offrire un servizio pubblico.

2 […]

3 Le eccezioni al primo capoverso e le sanzioni sono stabilite dalla legge.

Il 17 aprile 2013 il Gran consiglio ticinese decide di respingere l’iniziativa e propone un controprogetto direttamente come legge elaborata che specifichi ciò che dice l’iniziativa, secondo il tenore seguente:

Art. 1 Nessuno può dissimulare il proprio viso o nasconderlo completamente nelle vie pubbliche e nei luoghi aperti al pubblico o destinati ad offrire un servizio pubblico.

Art. 2 Il divieto di cui all’articolo 1, in particolare, non si applica all’uso di copricapi per ragioni di salute, di mezzi protettivi o difensivi imposti dalla legislazione sulla circolazione stradale e da quella sulla tutela dei lavoratori, di caschi e maschere di protezione del viso nelle discipline sportive, di vestiti particolari indossati durante le manifestazioni religiose e nei luoghi di culto o di abbigliamenti portati per usanze locali.

Art. 9 […]

Sia l’iniziativa, sia il controprogetti sono stati accolti dal popolo

L’iniziativa e il controprogetto sono stati approvati entrambi dal popolo in data 22 settembre 2013.

L’iniziativa ha ottenuto il 65.4% dei voti, il controprogetto il 63.2%. Nella domanda eventuale ha vinto l’iniziativa con il 58.8% dei voti. Come solito, nel marzo 2015 l’Assemblea federale ha deciso se garantire la nuova norma costituzionale ticinese.

Quella garanzia stavolta era però particolare: i parlamentari si resero conto che nella modifica costituzionale mancavano le eccezioni al divieto, dissero quindi che la legge finale comunque avrebbe dovuto dimostrare di essere conforme alla Costituzione svizzera.

Il 23 novembre 2015 il Gran consiglio ticinese ha infine emanato due leggi di applicazione identiche: gli articoli contro la dissimulazione del volto sono infatti stati scritti sia nella nuova Legge sull’ordine pubblico (LOrP), sia in un codice ad hoc chiamato Legge sulla dissimulazione del volto negli spazi pubblici (LDissim).

Il contenuto della LDissim e della LOrP contro cui abbiamo posto ricorso

La LDissim e gli articoli LOrP che trattano del divieto di dissimulazione sono strutturati in modo identico: all’inizio viene imposto un divieto generale (divieto di dissimulare o coprire il volto su area pubblica o in luoghi, pubblici o privati, che offrono servizi al pubblico), poi questo viene subito relativizzato da una lista di eccezioni.

La lista comprende in entrambe le leggi che si possano usare copricapi e mezzi protettivi o difensivi prescritti per legge, per motivi di salute o professionali, ma anche coperture necessarie per pratiche sportive particolari o se si è nell’ambito di manifestazioni religiose, tradizionali, artistiche o ricreative.

C’è un dettaglio che sembra minuscolo, ma in realtà è di centrale importanza. I cataloghi di eccezioni della LDissim e della LOrP sono “esaustivi”, “chiusi”. Non contengono le paroline magiche “in particolare”. Questo significa che altre eccezioni al divieto di dissimulazione (oltre a quelle scritte) non sono possibili, nemmeno con un’ autorizzazione speciale Questa scelta è stata voluta dalla commissione e ribadita in aula parlamentare da Natalia Ferrara (PLR), relatrice commissionale.

Con una veloce lettura delle eccezioni ci si può accorgere che la dissimulazione del volto per scopi politici (in particolare ci viene in mente l’utilizzo di una maschera con il faccione di un politico) non è prevista come eccezione! Ed è anzitutto per questo motivo che abbiamo deciso di fare ricorso: a causa della – ora confermata dal Tribunale federale (TF) – violazione dei nostri diritti costituzionali.

La libertà religiosa per contro non era argomento di discussione nel nostro ricorso, siccome non eravamo legittimati a contestarla non sentendoci discriminati nei nostri diritti religiosi. Non abbiamo nemmeno contestato la violazione del diritto internazionale, siccome volevamo rimanere sul piano del diritto svizzero.

La decisione del Tribunale federale

Abbiamo infine inviato due distinti ricorsi il 5 maggio 2016 contro le due leggi, in particolare abbiamo chiesto di annullarle. Con la sentenza del 20 settembre 2018 (resa pubblica venerdì 12 ottobre), il TF ha parzialmente accolto i nostri ricorsi. I giudici affermano che la lista delle eccezioni, che è chiusa, ha provocato una violazione delle nostre libertà di opinione, di riunione ed economica così come garantite dalla Costituzione federale.

Per quanto riguarda i diritti politici, il TF, ha semplicemente applicato (indurendola) una sua precedente giurisprudenza del 1991, risalente ai moti studenteschi. Purtroppo né i giuristi del governo, né quelli in commissione avevano pensato di usarla attualizzandola in favore della libertà.

Il TF ha confermato che l’utilizzo di maschere per esprimere i propri messaggi politici deve essere permesso sostanzialmente “quando si tratta di dimostrazioni le cui finalità, il motivo e lo scopo possono essere raggiunti unicamente attraverso la dissimulazione del volto”, ad esempio “indossando delle maschere antigas nell’ambito di una manifestazione volta a sensibilizzare la popolazione sulla problematica dell’inquinamento atmosferico o sui rischi legati all’esercizio di una centrale nucleare”.

Le conseguenze della decisione del Tribunale federale

La prima esplicita conseguenza è che il Gran consiglio ticinese dovrà mettere mano alle due leggi per ampliare, o perlomeno rendere non esaustivo, il catalogo delle eccezioni previsto dagli articoli 2 cpv. 2 LOrP e 4 LDissim. Devono permettere la dissimulazione del volto in manifestazioni politiche e commerciali o pubblicitarie, perlomeno dando la possibilità di chiedere un’autorizzazione a coprirsi il volto.

A livello nazionale la sentenza potrebbe avere effetti sull’iniziativa popolare federale “Sì al divieto di dissimulare il proprio visto”, scritta sulla base della legge ticinese. Il catalogo di eccezioni previsto dall’iniziativa federale è infatti espressamente chiuso come quello ticinese.

Attualmente, dunque, l’iniziativa federale (nel cui comitato promotore figurano Marina Masoni, Lorenzo Quadri, Olga Cippà, Giorgio Ghiringhelli) viola i diritti costituzionali delle cittadine e dei cittadini svizzeri, politici liberali e difensori dell’economia non si sono accorti che stavan violando i nostri diritti politici ed economici, interessante no?

Le – scomposte – reazioni di chi ha voluto la legge

Giorgio Ghiringhelli, ideatore e promotore dell’iniziativa cantonale, ha affermato che “il comitato dell’iniziativa non ha nulla da rimproverarsi” e sostiene che lo stesso sarebbe favorevole “a questo ampliamento delle eccezioni” (LaRegione, 13.10.18). Eppure quando avevamo annunciato la volontà di ricorrere al TF, non aveva mancato di tacciarci come incompetenti e aveva bollato il ricorso come “senza chance”.

Il ministro Gobbi lascia esplicitamente la palla al parlamento. Eppure proprio lui dovrebbe fare ammenda pubblica, siccome proprio i suoi servizi giuridici nel 2013 hanno toppato l’analisi di costituzionalità (punto 7.2.3. del Messaggio 6732). E questo malgrado l’Assemblea federale avesse detto esplicitamente che la legge doveva essere sottoposta ad un ulteriore controllo di conformità alla Costituzione federale!

Gobbi addirittura sostiene che la sentenza del TF “si riduce” (La Regione, 13.10.18) a maggiori tutele (giuridiche) richieste dai giudici. È odioso che un membro di Governo trovi riduttiva la sentenza dei giudici federali che garantiscono tutele alle cittadine e ai cittadini. La dice lunga sulla caratura del ministro (che, ricordiamo, promuove e difende agenti a braccio teso).

Infine è ironico che la relatrice Ferrara, che con Gobbi ha subito in prima persona la bocciatura delle leggi, ha minimizzato su quanto successo. Neppure lei aveva speso una parola per l’analisi della conformità costituzionale delle sue leggi, la liberale si è semplicemente dimenticata dei diritti liberali.

Ora però, a sentenza pubblicata, sostiene che “il buon senso si è sempre applicato”. Si tratta di parole che pongono una pesante ipoteca sul principio di legalità, parole imbarazzanti pensando che si tratta di una parlamentare ed ex procuratrice. Ma lo sappiamo: il buon senso non era di casa in Ticino quando veniva puntato il mitra sulla testa del ragazzo mascherato da DeadPool a Lugano.

E ci sarà quel suo bel “buon senso” quando qualche giovane vorrà usare la maschera di Gobbi per condannare le sue nefandezze in giro per il Ticino?

Di Martino Colombo e Filippo Contarini

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