Congresso PSS, alcune mie impressioni

Ed è finito anche questo congresso del PSS!

È stato un congresso bello e importante perché il partito ha cercato di dialogare su un tema ostico e oggi al centro del dibattito politico internazionale: l’immigrazione. E ci è riuscito, aprendo una parentesi discorsiva che può solo far invidia agli altri partiti!

Se un tempo c’era chi parlava di classi basandosi sull’accesso al denaro, oggi c’è chi parla di società liquida e basa la sua analisi anche sulla possibilità di muoversi attraverso le frontiere. Le differenze sociali e le necessità individuali vengono così spesso contrapposte, creando conflitti tra persone e genti, rendendo ormai la migrazione il vero nucleo della battaglia per la dignità umana. Persone come esseri umani e non come oggetti, dice l’idea, ma la politica su questo ha difficoltà ad esprimersi in modo libero.

Un congresso, questo di Lugano, che ha dato spazio alla comprensione della migrazione come necessità politica ed economica e che ha anche simbolicamente riconosciuto la Svizzera quale nazione umanitaria (non per niente è stato eletto il bravissimo Lathan Suntharalingam, tamil rifugiato qui negli anni ’80, nel comitato direttivo centrale del PSS).

Un congresso però che ha mostrato tutti i limiti del sistema.

Il partito ha voluto emanare una buona carta di contabilità politica, ovvero un oggetto che si possa utilizzare nel discorso politico giornaliero, dando colpi al cerchio e alla botte per tirare assieme una fortissima maggioranza a congresso. Nonostante la linea finale sia condivisibile considerando gli obiettivi prefissati (integrazione, lavoro, equità sociale) alcune contraddizioni nel testo sono evidenti. Un partito come il  nostro, composto da anime fortemente idealiste e utopiste, ha infatti dovuto inserire in questa Carta sull’immigrazione elementi estranei, ma profondamente sentiti. Si è per esempio condannato il rinvio forzato dei migranti non accolti come rifugiati, sebbene questo metta in dubbio l’intera esecuzione della politica migratoria e quindi l’intera Carta.

Questa decisione, che condivido nella sua idea (da qui la mia astensione nel voto su quel punto), come altre è fortemente comprensibile, ma mostra tutti i limiti di una politica che deve dividersi tra idea e compromesso. E proprio l’idea, come dicevo, è stata la grande assente nel dibattito.

Uno dei temi più importanti di tutta la discussione sulla migrazione (finché esisteranno le nazioni) era ad esempio sapere se il migrante per entrare nel nostro Paese deve aver già trovato un lavoro oppure no. La situazione attuale in Svizzera è che se uno straniero viene dall’UE non deve ancora aver lavoro, se viene da fuori deve già averlo, ma può venire solo se è altamente specializzato (politica dei due cerchi). Ma ci va bene che sia così? Questo punto, determinante per tutta la politica sulla migrazione, è stato trattato dall’apparato a congresso solo nella discussione sull’ultima parte del documento, dedicata ai rifugiati e ai sans-papier (qualche parola era stata spesa nella discussione d’entrata in materia, ma là il presidente ha schivato l’oliva).

Un approfondimento che ha visto la frangia idealista, ovvero i giovani socialisti e gli oramai vecchi marxisti in particolare, cercare di far passare l’idea che la politica dei due cerchi vada superata e che la migrazione debba essere indipendente dalla domanda di lavoro interna. Il presidente Levrat ha difeso invece l’operazione di contabilità politica della Carta e ha toccato l’argomento soltanto con due argomentazioni: a) il diritto d’asilo internazionale tutela la migrazione per chi è in pericolo a causa di idee, etnia ecc., ma non per i migranti economici; b) tradizionalmente la nostra politica migratoria aiuta chi abbisogna d’asilo, gli altri no.

È palese che l’apparato ha quindi deciso di non sostenere un dibattito sul principio nemmeno quando ha dovuto schierarsi sul tema in modo concreto. Ha usato motivazioni giuridiche e tradizionaliste, non politiche. La motivazione per cui va bene dire “semplici lavoratori dall’Europa sì, i poveri diavoli dal resto del mondo no” non è stata data in modo esplicito.

La debolezza del sistema politico tutto (e non solo del PSS) sta proprio qui: si decide di non decidere.

Abbiamo discusso tanto in questi due giorni, abbiamo votato tanto, ma non siamo stati veramente in grado di toglierci la maschera. È una questione sistemica: se si è un partito di responsabilità (insomma, se si ha parecchio più dell’ 1.5% di consenso) la contabilità è importante e nel contempo limitante. Il PSS rimarrà un partito pieno di idealisti, sempre con qualche sospiro, e avrà la sua Carta politica da usare ogni giorno.

F.C.

Qua i resoconti dei telegiornali sul congresso:

Il Quotidiano di domenica 9 settembre (mi si vede al minuto 1.20 :-))

Il TG della RSI di sabato 8 settembre

Il TG della RSI di domenica 9 settembre

Il TG di Teleticino di sabato 8 settembre parte 1  e parte 2