Alessandro Bergonzoni sugli intellettuali

Articolo di Alessandro Bergonzoni apparso su L’Espresso on-line a questo link il 12 aprile 2018. Non ho chiesto il permesso per pubblicarlo qui, spero di non violare norme sul copyright.

Mi scuso. In anticipo. Con chi penserà ad un certo protagonismo nelle mie parole. Mi scuso in anticipo anche con chi crederà che quanto scrivo possa esser nato in competizione o antagonismo con altri, o addirittura pretendendo di essere considerato un intellettuale (il concetto meriterebbe lunga discussione). Ma non si può non dire sull’impegno dell’intellettuale oggi. Entrando nel merito avverto una forma di sordità e di strabismo di ritorno, piuttosto che silenzi intellettuali. Molti artisti (prima cittadini e prima ancora esseri e non solo persone) non tacciono assolutamente, non sono per niente immobili o accidiosi, ma semplicemente sembra non possano far parte di quella fotografia che oggi si fa degli “intellettuali” tout court.

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Quando lo si diventa, lo si è e lo si fa? Quali i salotti, i festival o i media dove questa investitura avviene? Direi per fortuna che esistono ben altri termini per indicare persone reattive e facenti, ben altri luoghi d’azione, di scambio, di deflagrazione. Chi le vede, a chi interessano? Nasce tutto in questo momento di vera o presunta metamorfosi politica? Il prurito prima era più sopportabile? Chi lavora con la scrittura, l’arte, il corpo e la mente non ha, soltanto, queste scansioni temporali e storiche, queste chiamate di correo per essere coinvolto. Lo fa da sempre, prima, dopo e durante il tempo “attuale”, lo fa perché è, perché altrimenti non esisterebbe in nessuna sua altra opera o sua manifestazione. Quindi non deve essere nemmeno un obbligo, forse neppure una scelta: si tratta di natura, intrinseca e universale, perché non siamo insegnamento ma testimonianza “no profet”. Tralascio di esprimermi, con insofferenza, su ciò che pensano degli “intellettuali” certi esponenti di partito (non dico della politica per rispetto del termine): è un tema che fonda le sue radici nella mancanza di visione e di vastità che da tempo sottolineo e cerco di portare all’attenzione, e che ha a che fare con una crescita interiore e ulteriore che forse la scuola, diversamente da ora, potrà dare per forgiare le classi partitiche a venire. Lungi da me ogni risentito nervosismo se qualcuno sostiene il poco impegno, voglio ribadire che sono molti gli autori o gli artisti che “pensano” il presente, non per ammalarlo di cronaca ma per espanderlo, e non accontentandosi di fare solo informazione o attualità, passando in quello show o in quel Talk da mattina a sera.

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Si è molti di più di quello che si crede, anche se c’è chi è più percepito e chi meno, chi scava, muove e va, come talpa, chi sceglie di girare e arrivare anche come metrò di superficie. E andiamo, andiamo laddove si fanno nessi e ponti e spesso ne siamo pezzi, laddove la televisione arriva solo per scoop o per inchiesta, quando va bene, senza mai intuire l’inchiesto dell’esistenza altra. Li facciamo certi guadi, eccome, per imparare a saper stare ed essere “inequilibrio”: nelle scuole, negli ospedali, nelle galere e nelle piazze anche e non solo per fare presenza, ma per muovere potenza, per animare e spostare (quasi mai voti), per essere e diventare esperienza, corpi, lingua, orecchie, mani,spalle. Per accorciare certi silenzi o aumentarne altri, quelli delle condoglianze o dei silenzi né religiosi, né laici, né atei ma comunque troppi per poi lamentarsi e pretendere che qualcosa cambi. Andiamo a raccontare e farci raccontare, poi torniamo a casa e proviamo a capire e soprattutto a fare la differenza, tra le varie lontananze d’antipodo e il peccato di distanza, tra intatto e crollato, tra morti per niente e per niente vivi, tra poveri sfondati e per nulla interessati, collusi o innocenti, usando la linea di non fine che fonde la pelle col colore, le ossa con la politica, lo stato con lo Stato d’Animo, il mondo del lavoro con il lavoro del mondo; che tocca a noi, intellettuali e non, quasi a voler creare un nuovo movimento nato non in Italia ma negli Stati d’Animo chiamandolo, “Intellettuali Enon”.

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Si vede, si sente? Questo torna ad essere il punto. O se non si passa quotidianamente sui social, su certi testate si dà l’impressione di non viversi? Cercate magari anche dove non si è soliti scrutare bene, a causa di qualche velato pregiudizio verso le diverse “fedi” mediche, scientifiche, spirituali, artistiche o esistenziali; magari siamo lì, a coabitare coi mali o altre patologie dell’essere e dell’avere, ancor prima di scriverne un libro o un articolo in forma di outing (se succedono in prima persona all’autore).

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Ci riuscivano benissimo i De Mauro, i Leogrande, come ho letto, e senza clamori, vero: ma allora dobbiamo decidere di che clamori vogliamo sentir parlare o far parte, di che atti, di che ascolti, di che reazioni, poi di quali nuove creazioni. Se “urliamo” e ci esponiamo va bene o si cade dall’altra parte, tra i presenzialisti di mestiere? Ognuno spero sappia leggere e tradurre se è l’uno o l’altro o viceversa, ma proprio per non lasciare quei vuoti, per opporsi, per nutrire i dubbi o i sentimenti, bisogna essere meno prevenuti e saper sì distinguere, ma anche andare al di là del ruolo di osservatori, critici o lettori professionisti. Poi decidere cosa, come e chi intelletta. O devo pensare che se non si ha una patente ad hoc non si può sterzare, scartare, superare, non si può mettere a soqquadro, non si può scatenarsi da quel giogo che invece di collegare costringe? I nostri misteri, le nostre potenze e non solo i nostri poteri, vanno seminati tra una opera d’arte e l’altra, tra un festival e un libro, tra uno spettacolo e magari il suo vero teatro di guerre. È quella la terra di nessuno, quindi di tutti, che va visitata, smottata, rivoltata di continuo, non si può fare solo il proprio mestiere, il proprio lavoro: si deve capolavorare, oltre che intellettualmente non mi vergogno certo a dire poeticamente. Se volete citare: citiamo pure i Camus, i Pasolini, i Bobbio ma poi subito cominciamo a diventare loro, e non solo, a diventare tutto. Ecco cosa fa un artista Enonsolo: deve accadere e avvenire. Ecco la vastità di chi coagula, con tutto, e sente la “chiama”, necessaria, intima, urgente; se non è possibile farne a meno allora si è IL e NEL posto giusto. Senza consultare il menù dei partiti del giorno, i loro re-censori in agguato, che appena tenti di andare in alto od oltre, di trascendere e scavare, mutare e formare, ti guardano scomparendo dal paesaggio comune, dall’insieme, tirandosene fuori. Come se ci fosse ancora un dentro e un fuori, un io e un tu, un loro e un noi. Questo forse su internet ma non su intellet…

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