Le crude ma utili lezioni dell’affaire Hildebrand

Finché il ferro è ancora caldo vorrei avanzare alcune riflessioni partendo dal caso Blocher-Hildebrand.

Philipp Hildebrand, persona stimata, olimpionico di nuoto, dottore politologo, banchiere con collegamenti in tutto il mondo, era fino a un paio di giorni fa probabilmente l’uomo più potente dell’economia svizzera. Era presidente di un gruppo di 3 persone che decide quanto costa il franco svizzero. Questo significa che le sue decisioni cambiavano la ricchezza e il potere d’acquisto di tutti i cittadini svizzeri. Con la sua potenza sarebbe però stato pure in grado di accumulare enormi patrimoni in un attimo, e se non lui i suoi famigliari e i suoi amici.

È chiaro quindi: la sua figura non poteva essere adombrata da nessun dubbio. Hildebrand doveva essere (ed era) come una scultura su un piedistallo, il banchiere svizzero numero 1, vicino alla perfezione. Lontano dalla realtà di mondo. Chi avrebbe mai pensato che il nostro sarebbe potuto cadere in trappole infernali tese da sciacalli politici?

E invece, osservando i fatti di questi giorni, la Svizzera intera è stata catapultata in un’unica, dura e cruda realtà: il presidente della Banca Nazionale era e resta un Uomo, un semplice Uomo a cui l’opinione pubblica aveva dato tutta la sua fiducia. E come lui lo è sua moglie, una donna “con una forte personalità”, che a causa delle sue mire si è rivelata una mina vagante per tutti.

Tutta questa storia mi riporta con la mente alla crisi del 2008. Improvvisamente, con il fallimento di Lehmann Bro. ci rendemmo tutti quanti conto che la bramosia degli operatori economico-finanziari ci stava portando in un baratro profondo. La mitizzazione sociale del grande banchiere (ma non solo, si pensi agli assicuratori, ai finanzieri e in genere a chi maneggia molti soldi…), per qualche giorno è vacillata. Considerati unanimemente figure di successo, che danno tutto sé stessi per riuscire a scalare un mondo di squali, cinti da un’aura di irreprensibilità, i Banchieri improvvisamente non erano più stimati. Il mito stava improvvisamente crollando.

Quel periodo è però durato poco. Rapidamente invece che al mito inserito nel pensiero collettivo si è deciso di sferrare un attacco a delle persone reali, cercando capri espiatori, tralasciando le convinzioni sociali. Un assalto contro persone con un alto livello di formazione e in grado di ben difendersi. Alcune teste sono cadute, ma in sé l’attacco non ha funzionato, le aziende hanno ricominciato a comportarsi come prima. La critica si è allora indurita e per molti il nemico sono diventate semplicemente “le banche” tout-court. Le banche, i luoghi convenzionali dove sono conservati i nostri stessi soldi, avversari potenti perché inanimati in una battaglia persa in partenza.

Il caso Hildebrand, allora, ha forse contribuito a riportare la società con i piedi per terra, là dove per pochi giorni si erano posati nel 2008. Lui, il più importante banchiere della Confederazione, azzoppato semplicemente perché è un essere umano come tutti noi. Perché non può provare di aver bisbigliato qualcosa di troppo alla moglie nell’intimità coniugale.

Ebbene, allora scopriamo il velo: Hildebrand non è l’eccezione, è la normalità! È un Uomo fallibile!

Accettiamo che chi lavora con i soldi è e rimane un uomo, con le sue forze e le sue debolezze. Eliminiamo quell’atmosfera di sacralità che aleggia attorno al potere pecuniario.

E con questa nuova mentalità affrontiamo alcuni problemi urgenti della Svizzera di oggi, problemi irrisolti perché il mito del finanziere impedisce qualsiasi ragionamento lucido.

Ad esempio facciamo in modo che il parlamento, dopo anni di blocco dei partiti borghesi, regoli definitivamente l’enorme questione del Too big to fail e del sistema dei Bonus nelle aziende finanziare. La si faccia finita con i veti incrociati e le minacce, soprattutto quando, manuali statistici alla mano, si scopre che i salari medi in queste aziende (a causa dei salari dei livelli superiori) sono mediamente di un terzo più alti rispetto agli altri. Facciamo in modo, ad esempio, che parlare di diritto penale finanziario non sia motivo di scherno in parlamento, come invece è successo alla sessione straordinaria delle camere federali pochi mesi fa.

Pensiamo meglio, infine, a chi abbiamo davanti quando scriviamo regole per le banche. Perché se pare lapalissiano che un giudice non può condurre un processo se sua moglie è l’avvocato della difesa, così dovrebbe essere ovvio che la moglie di chi decide il costo della moneta di una nazione intera non può speculare centinaia di migliaia di franchi con il cambio!

Filippo Contarini, giurista

pubblicato il 14 gennaio 2011 sul Corriere del Ticino