Il Reddito di cittadinanza: parassitismo o equità?

Il reddito di cittadinanza è il tema politico astratto più frizzante che potremo affrontare in questi anni. Andremo a votare l’iniziativa popolare il prossimo 5 giugno 2016. Ci sono due rigide posizioni politiche che si mettono di traverso e che trovano alta risonanza nella società (quelle dei liberali e quelle dei sindacati) e una considerazione di fondo sulla cittadinanza che mette in difficoltà anche chi, come me, è molto a favore di questa iniziativa. Per questo ci vuole un approfondimento su questi 3 punti.
1.
I liberali di principio contrastano il reddito di cittadinanza. Per capirlo prendiamo le parole di Michele Bertini, espresse nel dibattito 60 minuti dell’8 luglio 2013, che sono chiare per tutti. “Pensare che in una famiglia di 4 persone si prendano 10’000 franchi senza far niente e stando seduti sul divano è un discorso da bar”. È un’opinione chiara, figlia di quell’idea cristiano-protestante che accompagna il capitalismo moderno (Max Weber dixit): si lavora per avere e, se si ha, si è dimostrato che si è meritevoli della misericordia.
In sé capisco Bertini e i liberali, ma li capirei di più se usassero lo stesso metro di giudizio applicandolo ai loro grandi sostenitori politici: le famiglie ricche, straricche e ereditiere. Sappiamo da vari studi statistici che la Svizzera sta conoscendo un processo di ritorno al feudalesimo. Sempre meno famiglie tengono sempre più denaro, ottenuto grazie alle rendite finanziarie e passato attraverso le eredità. Pensate al ricco milionario che lascia tutto a figli e nipoti.
Ai liberali non sembra un discorso da bar parlare di 4 persone che si prendono 10 milioni “senza far niente e stando seduti sul divano”. Eppure è ciò che succede, ed in maniera profondamente antidemocratica. Si tratta di ereditieri che per avere quei soldi non hanno lavorato un giorno nella loro vita, l’unico merito che hanno è essere nati dalla persona giusta. È un’ipocrisia liberale con cui siamo abituati a convivere, ma che con questa iniziativa finalmente potrebbe cambiare. È infatti profondamente giusto far sì che non solo i figli dei ricchi possano evitare lo stress del lavoro nelle sue forme più insidiose.
2.
Ci sono poi i sindacati, i tutori del lavoro e, in teoria, i guardiani del vero credo marxista. Quella sera a 60 minuti era Vincenzo Cicero a fare da megafono a chi è contrario al reddito di cittadinanza da ottica di sinistra. Per il sindacalista il reddito di cittadinanza sarebbe abdicare nella lotta per la dignità del lavoro. Raddensando la sua idea: “In realtà c’è lavoro per tutti, ma il capitale crea disoccupazione artificialmente e facendo fare straordinari assurdi ai lavoratori”. Sono parole importanti quelle di Cicero, che non possiamo sottovalutare. Ma sono pure convinto che bisogna guardarsi negli occhi e chiedersi se oggi, 2016, non sia cambiato qualcosa.
Il Quinto Stato, quello degli autonomi, dei precari, dei non garantiti dallo Stato sociale degli anni ’60, è ormai diventato una realtà che non si può più guardare dall’alto al basso. I partiti comunisti e i sindacalisti hanno sempre “schizzato” un modo di vivere “altro” e flessibile, che non fosse operaista. Ma il risultato è che ci troviamo con migliaia di lavoratori post-moderni che con l’informatica non si ritrovano più nell’ideale lavorativo derivato dalla poetica della fabbrica. A questi si aggiungono i lavoratori dipendenti non sindacalizzati: abbiamo assistito a Lugano a un disastro con la crisi delle banche, dove abbiamo scoperto che la nostra società ticinese si era fatta comprare i diritti del lavoro con i bonus bancari. E infine: quanti storici ci hanno detto che in Ticino in realtà non c’è mai stata una classe operaia, marxianamente parlando? Insomma, ritengo sia sano rimettere in discussione anche il ruolo del sindacato grazie a questa iniziativa popolare.
Come? Rispolverando Gorz (che usa le Tesi su Feuerbach, compagne e compagni, non dimentichiamocelo) e dirsi fra noi che nel duemila l’emancipazione non è più nel lavoro, ma è con il lavoro. E il reddito di cittadinanza permette a tutti gli effetti di creare quelle condizioni per far diventare il lavoro come un luogo di sviluppo e non come un fardello. Un fardello che con l’informatizzazione e la precarizzazione è diventato addirittura uno schiavista, ben peggiore dello schiavismo di cui si parlava 50 anni fa. La coscienza di classe, a cui si è aspirato proprio per non vivere il lavoro come un fardello, è ancora possibile? Non ne sono sicuro. Il grande capitale va combattuto? Certo che sì. Come? Sfilandogli da sotto i piedi lo strumento di estorsione che opprime i cittadini, ovvero la minaccia di non avere un lavoro, e quindi non avere nemmeno le assicurazioni sociali derivate dal lavoro.
3.
C’è infine un ultimo aspetto da discutere. Questo, a differenza degli altri due, mi crea profondi dubbi. Non penso mi impedirà di votare SÌ all’iniziativa sul reddito di cittadinanza, ma mi spinge a suonare un campanello di allarme ai nostri politici, soprattutto quelli di sinistra.
Noi andiamo a votare un reddito “di cittadinanza” in un periodo storico dove la “cittadinanza” è uno dei nuovi strumenti di segregazione sociale e di apartheid potenziale dell’occidente contemporaneo. I cittadini con diritto di voto sono solo il 64% della popolazione in Svizzera. Se per delirio d’ipotesi per la “cittadinanza” del reddito di base incondizionato valessero gli stessi criteri della “cittadinanza” dei diritti elettorali, allora ci ritroveremo con il 36% di abitanti della Svizzera senza possibilità di accedere a questo reddito di base. E di nuovo gli stranieri, categoria di cittadini dominata e stigmatizzata per eccellenza, si troverebbe non solo a fare i lavori più umili e degradanti, ma pure a non avere più i cuscinetti sociali garantiti dalle assicurazioni sociali (che verranno sostituite dal reddito di cittadinanza).
Ipotesi lontane, certo, ma che identificano una necessità di approfondimento che nemmeno a sinistra possiamo evitare. Anche per chi come me voterà SÌ all’iniziativa.

Filippo Contarini
Assistente del Direttore dell’Istituto Svizzero di Roma

pubblicato il 18 aprile 2016 su ticinotoday.ch