Il brigatista protagonista

Ma come!? Noi lottiamo tutta la vita per migliorare di un quarto d’ora la giornata di un uomo e tu lo uccidi?” (Pietro Nenni)

Sul brigatista Senzani si è detto molto in questi giorni. Non era ben chiaro se la discussione fosse per mettere in dubbio la libertà del Festival di Locarno oppure per rimettere in discussione come la CORSI controlla le spese della RSI. Al centro c’era però un tema importante, se non altro perché i giovani devono sapere che i vertici di oggi han vissuto il periodo delle brigate rosse e del terrorismo in Europa in generale.

Proprio in Ticino la discussione non è nuova. Abbiamo avuto anche noi un brigatista, da Castelrotto, difeso in tribunale da colui che divenne poi procuratore generale del cantone. Un tribunale che mi riguarda anche per i miei studi, siccome allora furono proprio delle giurie popolari (poi messe sotto accusa, ma scagionate da altre stranissime giurie popolari “ad hoc” e dal Tribunale Federale, v. DTF 116 Ia 14) ad emanare la sentenza. Non voglio nemmeno immaginare cosa si disse e scrisse in quei giorni, altro che la manfrina che dobbiamo stare a sentire oggi su 50’000 chf e un’ospitata.

E quindi? Cosa dire oggi delle brigate rosse? Io come giovane non invasato e non comunista posso dirvi solo cosa mi aspetto da chi quella fase l’ha vista. Mi aspetto un racconto sui sentimenti che la gente provava allora. Mi aspetto un’analisi lucida su cosa sia successo nella coscienza popolare. Non erano pochi quelli che, nel silenzio, pensavano che in fondo i brigatisti un po’ facevano la cosa giusta. Gli piaceva veramente che qualcuno, ergendosi a demone del sistema, restaurasse metodi giuridici medievali per imporre la sua superiorità etica? Gli piaceva sul serio che qualcuno sacrificasse i suoi concittadini sull’altare della comunicazione pubblica?

Non solo brigate rosse, però. Senzani, un omicida, uno dei tanti, uno come i fascisti di piazza Fontana, uno come l’attentatore libico, uno come i militari dei servizi segreti, terroristi con le mostrine.

Un periodo, tante persone, tante storie. Storie che mi fanno chiedere: dell’uomo Senzani bisogna ancora parlarne? Oppure non è arrivato il momento in cui la damnatio memoriae dovrebbe veramente raggiungere la sua ragion d’essere? È vero che, scontato il carcere, il brigatista torna ad avere un ruolo sociale normale?

La coscienza collettiva tende a insabbiare il ruolo di chi commette crimini spaventosi. Come una sorta di autodifesa, quasi un’autocommiserazione, quasi una vergogna, la società cancella il posto

But Keratin, plus into special offer on generic viagra a And – I long Maybe…

del terrorista. Gli si fa il processo penale, un vero e proprio teatro dell’orrore, per sancire il passaggio da attore sociale a dimenticato sociale. Se ne parla affinché ci si possa dimenticare di lui, senza pesi sulla coscienza. Una passata di scopa, spostando la polvere sotto il tappeto.

Il problema è che poi il brigatista esce di prigione. E arriva il giorno in cui l’ex dimenticato si ritrova a stare con la gente, si scopre che il teatrino del processo non faceva dimenticare proprio un bel niente. Si scopre che i processi penali sono roba spesso altamente inutile. Lui si ritrova nuovamente a partecipare alla comunicazione, lui che in fondo una storia da raccontare ce l’ha.

Il brigatista allora afferma che ha diritto a raccontare la sua storia. Ecco, in mezzo a tante domande a cui proprio non so rispondere, proprio qua mi fermo. Proprio qua ho quello scatto, intimo, che viene dal profondo: io non credo che il brigatista abbia un diritto a parlare della sua storia.

Il brigatista non ha un diritto a mettere sé stesso al centro della comunicazione sociale, lui che si era già eretto a protagonista assoluto. Lui che voleva far sentire la sua voce attraverso il silenzio eterno degli altri. La sua storia, il suo ruolo sociale, lo ha già raccontato con i fatti. Ci piaccia o no, è già stato protagonista.

Il brigatista che torna, quello che “ha pagato il suo conto con la società” dopo anni di galera, non è una persona che ha un credito con la Storia, non deve riscuotere nulla. Lui ha già ricevuto quello che tanti non otterranno mai. No, non ha un diritto ad essere ascoltato di nuovo. Chi vuole vada da lui e ci parli. Ma non pretenda un nuovo palco, non pretenda un diritto di cui ha già ampiamente goduto. Accetti di essere solo oggetto della ricerca storica, accetti che i protagonisti ora siano altri.

F.C. 25.8.2013 (leggermente modificato, nella parte sulle giurie, il 27.10.2013)