Costi troppo, non ti assumo

Nella Storia molti sistemi economici sono stati pensati e provati, a fortune alterne. In Svizzera attualmente vale un sistema basato su due principi: il primo è che se non si lavora non si riceve un salario. Il secondo è che il lavoratore e il datore di lavoro stabiliscono assieme quanto vale il lavoro prestato.

Questi due principi cardine sono sanciti anzitutto nei codici delle obbligazioni ottocenteschi. Ispirati tendenzialmente da una logica religiosa protestante di vivere la relazione con il denaro, sono viepiù stati adeguati alla dura e cruda realtà che ognuno di noi ha sotto gli occhi tutti i giorni: troppo potenti molti datori di lavoro, troppo deboli quasi tutti i salariati. Questo per vari motivi: l’operaio e l’impiegato hanno la necessità di percepire uno stipendio regolare, perché spesso non hanno un reddito garantito da un eventuale gruzzolo depositato in banca. A questo si aggiungono la carente formazione continua e, solitamente, un’enorme disparità informativa fra responsabili del personale (a volta ottenuta anche illecitamente) e lavoratori.

È partendo da qui che bisogna quindi analizzare il problema legato al lavoro: dal potere dei datori, dei padroni, e dalla debolezza dei lavoratori (n.b. ben più di 3 milioni di persone in Svizzera!).

Sono state fatte molte revisioni della legge negli ultimi decenni: si è sviluppato il potere contrattuale dei sindacati, si sono garantiti standard minimi di tutela della salute e della personalità, sono stati messi (blandi) limiti orari oltre i quali non si può lavorare. Di tutte queste misure ne manca però ancora una, forse la più importante: la garanzia di un salario minimo per tutti. Importante perché la decisione su quanto verrà pagato il lavoratore è quella che mostra in modo più lampante la sua debolezza contrattuale.

Per dirla con parole semplici: meglio una paga da 2’500.– franchi oppure a casa senza niente? La scelta è ovvia. Troppo importanti quei pochi soldi, troppo essenziali per non dover dipendere dalla famiglia, dallo Stato, dagli amici. Dall’assistenza. Soldi che non bastano però a restare sopra la soglia di povertà in uno dei Paesi più cari del mondo, la Svizzera.

Sono ancora tante le persone che parlano di questo tema con una posizione rigida, ideologica, astratta. Il salario minimo crea disoccupazione, dicono loro (senza dire, però, che in Svizzera abbiamo un buon sistema previdenziale e senza dire quanto guadagnano i capitani d’impresa). Bisogna lasciar correre il libero mercato, ripetono, come se fosse un disco rotto.

Non dobbiamo aver paura di guardare in faccia la realtà. Non dobbiamo aver paura di pensare alla vera fatica che fa per arrivare a fine mese chi, impegnandosi tutto il giorno, riceve soli 3’000.– franchi in busta paga.

Il mercato impone che un’azienda non possa continuare ad esistere se non riesce a pagare le materie prime da trasformare. Non è redditizia, quindi fallisce. Ora, economicamente un salario minimo imposto dallo Stato imporrebbe una cosa simile: se un’azienda non riesce strutturalmente (sono previste eccezioni per periodi particolari) a pagare un salario minimo dignitoso non ha senso che esista. Perché non è in grado di pagare le sue risorse, perché non è in grado di assicurare una vita economicamente sostenibile ai suoi lavoratori.

Il meccanismo del mercato è inumano, senza cuore. Questo purtroppo non si può cambiare. Quello che però si può fare, e si deve, è mettere dei paletti: uno, ad esempio, è la nostra dignità.

Filippo Contarini, Porza,

candidato per il Partito Socialista al Consiglio nazionale

laRegione, 11.8.2011