Chi è Christoph Blocher? Le critiche socialiste non rendono giustizia all’opera

Christoph Blocher, l’uomo che da povera famiglia rurale è diventato uno dei più grossi imprenditori elvetici. L’uomo che correndo sulle autostrade della finanza con Marchionne e Ebner ha (s)venduto AluSuisse agli stranieri, un miliardo l’utile. L’uomo che faceva affari con il governo sudafricano durante l’apartheid. L’anticomunista che commerciava con il governo cinese. L’uomo che gongola di fronte ai manifesti xenofobi. L’uomo che da solo ha reso il suo piccolo partito agrario la prima forza politica svizzera, prendendosi poi il posto di consigliere federale.

Chi è quest’uomo?

Il documentario “L’experience Blocher”, di Jean-Stéphane Bron, cerca di spiegarlo. Le polemiche che sono precedute alla proiezione in Piazza Grande, soprattutto da coté socialista, non rendono giustizia all’opera, creata soprattutto grazie a un sostanzioso finanziamento pubblico.

Scelte fotografiche forti, ritratti silenziosi in spazi simbolici adatti a segnare i momenti emozionali, musica puntuale, dal punto di vista cinematografico siamo davanti a un prodotto di grande qualità. Un‘impresa che non nasconde i problemi che il regista vive avendo di fronte a sé un soggetto agli antipodi delle sue idee politiche. “Chi è quest’uomo?” è una domanda che Bron pone anche a se stesso: perché dare parola alla storia di un estremista di destra ancora in vita? Perché un documentario su Blocher?

D’altronde non è l’unico documentario che abbiam visto negli ultimi anni in Ticino su un uomo politico. Nel 2007 era al Pardo “Dutti der Riese” per la regia di Martin Witz, il soggetto però era già passato alla storia. Nel 2012 a Storie alla RSI, per la regia di Ruben Rossello, era “Dottor Cavalli… compagno Franco”, lui invece vivo e vegeto nella sua profonda dedizione per gli altri. Con Rossello Bron condivide un punto fondamentale: viene seguito l’uomo politico durante le elezioni federali del 2011, sebbene l’intensità cinematografica sia completamente diversa.

“L’experience Blocher” catapulta infatti il pubblico in un’altra dimensione. Catturare i movimenti di una, nel bene e nel male, icona pop della politica nostrana è complesso, dove sono i limiti della recitazione? Bron lo cerca negli spazi intermedi, trovando un Blocher intimo nel pieno della sua campagna e riprendendolo soprattutto nei suoi silenzi. Osserviamo il tribuno zurighese salire e scendere dall’auto, la telecamera puntata su di lui e sulla moglie, il telefonino che squilla, i discorsi ripassati, alcune parole e alcuni sguardi. Su e giù, giù e su, la folla fuori dall’auto, la gente ai comizi. Blocher che scrive di notte, Blocher che fa il bagno nella splendida villa zurighese, Blocher che canta a cena nel suo castello. Blocher che ride dopo essersi comprato la Basler Zeitung.

Ma, tutto sommato, il mix fra le scene delle vittorie e quelle delle difficoltà, gli sguardi malinconici della signora Blocher di fronte alla perquisizione dopo l’affaire Hildebrand, pone bene in luce la distanza del regista dall’uomo. Una distanza personale e cinematografica, sancita talvolta da parole dure di stigmatizzazione. “Sono suo complice?” si chiede Bron a un certo punto. Vorrei dire di no.

Di questo documentario rimane l’ombra dell’icona. Un’ombra che però non distrugge l’essere umano perché, in fondo, anche Blocher sa ridere. E sa dire, senza tanti giri di parole: “soluzioni ora non ne ho, è difficile sa?”.

F. C., apparso su www.ticinolibero.ch il 15.8.2013