11/9: 10 anni fa, me lo ricordo

Stavo giocando a ping pong. Me lo ricordo perfettamente.

Era la seconda settimana di scuola, l’inizio della mia vita da liceale. Eravamo a Scruengo, in Leventina, un momento di allegria per fare conoscenza fra nuovi compagni di classe. C’era chi appendeva la bandiera anarchica al muro della casetta dove stava la nostra classe, c’era chi tendeva piccoli agguati ai compagni più sprovveduti e chi, come me, spensierato giocava nel cortile.

Poi tutti hanno cominciato a correre verso la mensa. “Hanno attaccato le torri”, urlavano. Non capivo, poi sono corso anche io. I professori ammutoliti, gli allievi anche, tutti guardavamo la televisione. Là, in alto, le immagini della torre fumante. Poi un aereo che prende la seconda torre. In diretta. Immagini agghiaccianti.

Chiamo mia mamma. Speculiamo: chi è stato? I palestinesi? Gli israeliani per dare la colpa ai palestinesi? Gli americani stessi? I libici? (Ancora oggi ci sono autorevoli voci che sostengono che in realtà non sappiamo chi sia stato…)

Torno alla televisione, molti compagni se ne sono andati, comunque siamo una ventina a guardare. Io resto, una torre era crollata mentre ero fuori. Assisto al crollo della seconda. Capii che quelle immagini non mi avrebbero più lasciato, nemmeno se le avessero (come per un periodo è successo in USA) censurate.

Poco dopo ci spiegarono chi era stato. Avremmo dovuto saperlo, ma non lo sapevamo, o almeno – al contrario di oggi  – non era un riflesso incondizionato pensarci:  era stata al Quaeda, con Bin Laden al suo comando. Coi talebani. Sì, proprio quelli che hanno abbattuto con gli stinger i Buddha scavati nella roccia decine di secoli fa.

I giorni dopo furono abbastanza pesanti. La borsa, già in fase pesantemente decrescente, andò a picco. Il turismo si bloccò. Ma soprattutto pensavamo ai morti di New York. Mettemmo tutti quanti delle candeline alle finestre per ricordarli. Migliaia e migliaia.

E la domanda fondamentale: è una dichiarazione di guerra? Di chi? Contro chi? E ora Bush, il guerrafondaio, il bombarolo, il politico sotenuto dalla American Rifle Association, che farà? È difficile essere pacifisti, come me, davanti a un attacco di questa entità.

Da allora partii la legittimazione del controllo sociale. Telecamere, passaporti biometrici, regole d’emergenza contro sospetti terroristi, Guantanamo, i voli della CIA, Abu Omar. L’Iraq, con le basi americane di stanza a Ur e Uruk, un insulto alla civiltà. Ma partì anche il rifiuto della violenza, le bandiere della pace (anche mia sorella ne comprò una!), l’indignazione per la tortura, il rifiuto del terrorismo come arma politica.

Il resto è Storia, noi ticinesi siamo stati toccati di striscio da tutti questi avvenimenti. Troppo piccoli, troppo buoni, troppo indifferenti? Non lo so. So che noi quindicenni siamo cresciuti vedendo cosa può fare l’uomo contro gli altri uomini. In diretta. Chiunque sia stato, ce l’ha mostrato con tutta la crudità e  la teatralità possibili.

Dopo 10 anni sono qui, il mondo è un po’ cambiato, la crisi economica del 2001 sembra uno starnuto rispetto a ciò che rischia di succedere in Europa tra pochi mesi (iperinflazione?). La televisione è rimasta quella. Sempre accesa sulle tragedie del mondo.

11 marzo 2011, quasi dieci anni dopo New York. Sono a Manno, alla SUPSI, ad aspettare un amico. Guardo la tele, in diretta c’è lo Tsunami più terribile che l’uomo abbia mai affrontato. Centrerà in pieno Fukushima, tre centrali nucleari collassano. I tecnici non avevano pensato allo Tsunami, è un “cigno nero”.

La tristezza mi pervade di nuovo, ripenso all’ 11 settembre. Come oggi. E più ci ripenso, più ho bisogno di rivedere quelle immagini. Sì, sono esseri umani. Anche loro.

F.C., 11/9/2011